Lèo Major
Uomo del mio tempo.
Lo scriveva Salvatore Quasimodo nel 1946, resta comunque tutt’ora -e ritengo lo sarà fino all’estinzione della razza umana- parecchio attuale.
Perchè iniziare con una poesia?
Per evitare di scrivere in modo uguale l’ennesima premessa già fatta per altre Personalità Buffe (Churchill, Pegahmagabow, Baracca, Luckner) in cui descrivo quanto negli anni la guerra ci abbia sempre accompagnato mantenendo la sua doppia componente di atroci sofferenze/sommo eroismo che tanto ha fatto (e fa) presa su stuoli di persone in tutto il globo.
E’ poi naturale che la figura di uno bravo ad uccidere diventi sotto tanti aspetti eroica e degna di essere raccontata.
Anche se poi sempre di un essere umano che uccide un altro essere umano stiamo parlando.
‘Eroe’, ‘buono’, ‘cattivo’ sono tutti concetti relativi. Ho sempre preferito la definizione ‘badass’ (=cazzuto).
La trovo più adeguata per queste storie.
Il Canada è uno di quei paesi che ti vengono in mente sempre dopo quando pensi alla seconda guerra mondiale, scioccamente si collega che siano entrati in guerra seguendo a ruota i vicini Stati Uniti, invece si mossero appena una settimana dopo la Gran Bretagna, il 10 settembre 1939, schierandosi insieme agli Alleati a difesa di Hong Kong a oriente e seguendo tutti i raid e le invasioni varie sul suolo europeo.
Il Régiment de la Chaudière fa parte della Primary Reserve della seconda divisione dell’esercito canadese (il grosso delle sue truppe di terra per capirci).
La Chaudière ha uno stemma stupendo DUE MITRAGLIATRICI VIKERS INCROCIATE CON SOPRA UN CAZZO DI CASTORO SORMONTATO DA UN FIORDALISO CON AL DI SOTTO UN FOGLIO DI PERGAMENA RICAMATO DA FOGLIE D’ACERO RECITANTE IL MOTTO “ÆRE PERENNIUS” (=più duraturo del bronzo).
Non chiedetemelo, non ho idea di quanto avesse bevuto chi l’ha disegnato e soprattutto chi l’ha approvato, ma il nostro eroe di oggi arriva proprio da qui. Si è arruolato, addestrato ed è poi partito per la guerra venendo riallocato più volte prima di essere gettato insieme a molti altri in una grossa operazione militare avuta luogo nel giugno del 1944 -forse ne avete sentito parlare- il D-Day.
Sword Beach non viene in mente quasi mai quando si pensa allo sbarco in Normandia.
Non è così famosa come Omaha o Utah Beach, eppure per numero di morti ha ben poco da invidiargli.
Sword non era la più difesa (il primato spetta ad Omaha) ma era decisamente insidiosa ed essendo pesantemente minata e piena di ostacoli ci si avanzava molto lentamente. Il che è un problema quando hai alle spalle una torma di uomini che spinge per sbarcare, poichè si finisce inevitabilmente per congestionare le poche zone sicure rendendo poi schifosamente facile il lavoro di chi deve solo sparare nel grumo di corpi per beccare qualcosa.
Coraggiosamente la terza divisione britannica resistette con le unghie e con i denti, fino a che gli estimatori del bratwürst non si ritrovarono costretti ad arretrare.
La testa di ponte era stata creata, ma ci si era lasciati alle spalle le vite di almeno 1000 uomini -sto considerando solo gli attaccanti e solo una spiaggia-.
Se ne sarebbero presto pentiti.
Appena qualche ora dopo lo sbarco il nostro è in missione solitaria di ricognizione (come centinaia di altri scout in quel momento) per preparare il terreno all’avanzata terrestre.
Individua un blindato tedesco per il trasporto truppe (un Hanomag) su una delle strade secondarie che ha appena finito di radunare una squadra di soldati in ritirata.
Potrebbe lasciarlo sfilare via e tornare a comunicarne la posizione, ma è appena sopravvissuto ad una delle più grandi mattanze della storia ed ha una tonnellata di adrenalina ancora in circolo.
Quando il blindato gli passa a fianco lui è acquattato in un fosso.
i tedeschi non lo notano e sentono solo qualcosa che rimbalza sul pavimento di metallo, pochi secondi dopo c’è un esplosione e l’hanomag si va ad affossare in un campo.
Major gli è subito addosso, uccide uno dei sopravvissuti, cattura il caposquadra e dando uno sguardo all’interno esclama “Jackpot!” quando si accorge che il mezzo stava trasportando attrezzature radio e codici di comunicazione.
Giorni dopo è ancora di ricognizione nei pressi di un boschetto, quando nota una pattuglia nemica di quattro uomini avvicinarsi alla sua posizione.
Da buon cecchino si nasconde sotto un cespuglio e da qui attende che escano allo scoperto. Quando accade è ben pronto: stende i primi due prima che possano capire chi stia sparando a cosa, fa un profondo respiro e ripete meccanicamente.
Dopo qualche minuto si alza e decide si avvicina per perquisirli anche perchè non aveva ancora incontrato direttamente dei soldati con delle uniformi come quelle…non era da tutti uccidere quattro SS in una botta sola.
Arrivato vicino ai corpi ha però una sorpresaccia: uno di loro si riprende quel tanto che basta per sganciare la spoletta di una granata al fosforo.
Esplosione.
Buio.
Léo si risveglia in un ospedale militare dove è stato portato da una pattuglia inglese attirata dal fumo.
Ha perso un occhio, ma non la voglia di combattere.
Quando i suoi superiori provano a cambiargli mansioni per le ferite lui se ne esce con: “mi basta un occhio per trovare nazisti e sparare con il fucile…poi così somiglio ad un pirata!”, tutti concordano e lui può tornare in prima linea.
Olanda, siamo nel bel mezzo della ‘battaglia della Schelda’, una serie di operazioni militari condotte dall’esercito canadese per la riconquista di Belgio e Paesi Bassi.
Ormai dovreste averlo capito, a Major piace lavorare da solo quando è in ricognizione.
È ormai buio quando individua su un terrapieno due soldati tedeschi di picchetto, si ripete nella testa “ho il culo bagnato e gelato per colpa di voi crucchi, qualcuno dovrà pagare per questo!” per cui decide di avvicinarsi di soppiato e attendere.
Quando i due si separano Léo salta fuori dalle ombre e catturato il primo puntandogli il coltello alla gola e gli intima di chiamare l’altro. Ci devono essere stati incomprensioni nella traduzione canadese-tedesco, poichè il soldato arriva di rinforzo ad armi spianate.
Un attimo dopo è a terra con il coltello piantato in fronte.
Il nostro canadese guarda col suo unico occhio buono fisso il primo prigioniero e si limita ad aggiungere: “se lo fai di nuovo sei morto. Ora portami dal tuo capitano”.
Mettetevi nei panni di sto poveraccio.
Sì, lo ha portato dal suo capitano.
Ne scaturisce un conflitto a fuoco che lascia a terra tre tedeschi e vede l’intera guarnigione arrendersi quando il loro comandante arriva fra le calda braccia di Major.
In un villaggio vicino sono di stanza delle SS che vengono avvertite da uno dei soldati semplici mandati a chiamare rinforzi che: “l’intera guarnigione è stata catturata da un solo soldato spuntato dal nulla! Ha ucciso sette uomini e ne ha feriti almeno il doppio! Ora sta scortando tutti dietro le linee nemiche, dobbiamo aiutarli!”
Radunano baracca e burattini e partono all’inseguimento.
Il nostro orbo preferito intanto è stato raggiunto sulla strada da una squadra di carristi alleata, la fa posizionare lungo il terrapieno con visuale sul villaggio e quando arrivano le SS di rinforzo fa aprire il fuoco.
Qualche ora dopo sta marciando verso il campo con NOVANTATRE prigionieri.
“È un cazzo di incompetente! Non sarebbe nella posizione di dare medaglie nemmeno al mio cane!”
Febbraio 1945: la guerra procede con tutto il carico di morte che un conflitto mondiale può portarsi dietro.
Léo questa volta non è solo, sta aiutando un cappellano a caricare su un trasporto Bren i corpi di una squadra che ha avuto la peggio scontrandosi con un Tiger.
Finito il lavoro risale sul mezzo per tornare alla base.
Il cappellano è davanti col pilota, Major siede nel cassone coi morti, tutto tranquillo.
Buio.
Lo avete capito ormai, il nostro è un soldato cazzuto. Si risveglia con intorno due ufficiali medici che cercano di stabilizzare le sue condizioni, lui chiede solo come stia il cappellano ma il loro silenzio è più eloquente delle fiamme che si alzano dall’ammasso di lamiere alle loro spalle, tocca pensare ai vivi.
Lo caricano su una jeep per portarlo all’ospedale da campo più vicino (distante 50 km) facendo una pausa ogni quarto d’ora per iniettargli litri di morfina.
Arrivati al sicuro il dottore da campo lo informa che per lui la guerra è finita: ha la schiena rotta in tre punti, quattro costole sbriciolate ed entrambe le caviglie più adatte a far polenta che a correre.
“Doc, l’ho già sentita una volta la frase ‘non puoi più combattere’, sarà finita solo quando lo deciderò io!“
Dopo qualche settimana Léo si organizza con altri commilitoni per farsi dare un passaggio fino a Nijmegen, una cittadina olandese in cui aveva conosciuto precedentemente una famiglia. In accordo con loro passa un mese nascosto in casa a riprendersi dopodichè torna a rapporto dopo un periodo di tempo che ad una persona normale basterebbe a malapena per smettere di pisciare in una padella.
Agli inizi di aprile il reggimento de la Chaudiére si sta avvicinando alla città di Zwolle, pesantemente difesa.
Il comandante chiede due volontari per una ricognizione atta ad individuare bersagli sensibili prima di dare fuoco alle polveri dell’artiglieria. Si fanno avanti Major ed il suo migliore amico, il caporale Willie Arseneault.
Mentre si stanno avvicinando alle prime case i due discutono di quanto sarebbe un peccato raderla al suolo con tutti gli abitanti dentro: “dai, secondo me è fattibile catturarla da soli se entriamo in contatto con la resistenza”.
Intorno alla mezzanotte il piano subisce uno scossone quando Arseneault rimane ucciso in un imboscata.
Il nostro orbo va in berserk, uccide due nemici (di cui uno a pugni) mentre il resto della pattuglia tedesca si ritira velocemente.
“Tutti…vi ammazzo tutti…”
Non sarei voluto essere un tedesco a Zwolle quella notte.
Léo si sposta sulla strada che collega il suo obiettivo da Sassenport e attende che passi una delle tante macchine-staffetta. Trascina uno dei cadaveri dei soldati che si è portato dietro in mezzo alla strada e quando la macchina si ferma a controllare salta fuori dal terrapieno e mette le mani addosso al guidatore.
“Ascoltami bene perchè sono PARECCHIO nervoso: se fai qualcosa di strano sei morto, se provi a scappare sei morto, se anche solo mi guardi storto sei morto. Ora tu mi porti fino a dove vanno a bere gli ufficiali. Se non lo fai sei FOTTUTAMENTE morto.”
Le doti diplomatiche erano una sua grande virtù.
Ora lo so che vi state immaginando più o meno la scena del bar di ‘bastardi senza gloria’…
… ma in realtà arrivato fino al tavolo degli ufficiali, si siede, ordina tranquillamente da bere e poi, semplicemente, bluffa: “Non so come sia la situazione qui in città, ma siete completamente circondati mon frère. Alle 06:00 l’artiglieria canadese aprirà il fuoco e farà piovere di tutto uccidendo gran parte di voi e, questo vorrei evitarlo, parecchi civili. Vi sto dando la possibilità di fare una cosa onorevole e scegliere tra il ritirarvi, arrendervi o il morire tutti.”
Major finisce il suo drink, RESTITUISCE LA PISTOLA al portaordini preso in ostaggio e si avvia semplicemente verso la porta, aspettandosi che qualcuno gli spari alle spalle.
Non succede.
Per il resto della notte corre da una parte all’altra della città sparando raffiche col suo mitra e lanciando granate per fare più casino possibile così che i crucchi credano di essere sotto un soverchiante attacco.
Ogni volta che viene attaccato da piccoli gruppi di soldati (dagli otto ai dieci), il numero dei prigionieri che cattura e scorta alle linee canadesi aumenta.
Quando comincia ad essere stanchino trova riparo in casa di alcuni civili.
Per dieci volte ripete la procedura.
Poi individua il quartier generale della Gestapo e gli sale il sangue al cervello.
Senza pensare più a niente irrompe, dentro ci sono otto ufficiali, in un attimo quattro giacciono a terra morti e gli altri sono scappati dal retro.
Léo da fuoco a tutto.