Grigorij Efimovič Rasputin
Tratterà di una vita piena di avvenimenti filtrata dalla miriade di informazioni che ho raccolto e ricucito insieme per dare un senso logico al tutto e la cui stesura mi ha richiesto diverso tempo sottratto ad un’insonnia galoppante.
Considerate dunque l’idea di arrivare fino in fondo a questa storia, anche perchè leggere per qualche minuto in più non ha mai ammazzato nessuno (a meno di non aver sfogliato pagine intrise di veleno, ma non è questo il caso).
21 -o 9 se si teniamo conto del calendario in uso nella Russia dei tempi- gennaio 1869, Pokrovskoe, un paesino della Siberia sud occidentale con più capre che abitanti. Due di loro -gli abitanti intendo- sono Yefim Jakovlevic Rasputin, di professione postiglione di carrozze e Anna Vasil’evna Parshukova, una casalinga siberiana con l’hobby di sfornare figli e spaccare tronchi a mani nude, talvolta nello stesso momento.
Yefim e Anna non conoscono le gioie della televisione -anche perchè verrà inventata sessant’anni dopo- o molto più probabilmente dopo una lunga giornata a prendere a badilate il permafrost la sera gli rimane poco altro da fare se non ubriacarsi di vodka e scopare come ricci, dato che arrivano a raggiungere il ragguardevole traguardo del quinto figlio sui nove totali, che decidono di battezzare Grigorij.–NOTA: il fatto che in famiglia solo il nostro eroe ed una sorella raggiunsero la maturità ci da un’idea di quanto fosse facile la vita in Siberia nel 1800 .
Alla fine si puntava sulla quantità della prole, esattamente come conigli e lemmings.-
Gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza di Rasputin si perdono nella fumosa incertezza degli inaffidabili racconti di una delle sue figlie, Maria. Le poche informazioni certe sono la presenza di un misticismo ossessivo (tratto comune tra la servitù della gleba) amplificato dal fatto che a otto anni Rasputin cade in un torrente ghiacciato insieme al fratello Misha, entrambi ne escono con una polmonite a cui però sopravvive solo il nostro protagonista, chiudendosi in sè stesso e alternando le sue giornate tra carrozze, allevamento di cavalli e semine dei campi.
Nel 1887 scopre le gioie della vagina e decide di smetterla con l’isolamento -una storia comune a molti ancora oggi-.
La fortunella (data la comprovata dimensione del pene di Rasputin) è Praskov’ja Fëdorovna Dubrovina, da cui avrà negli anni sette figli di cui però ne rimarranno in vita solo tre, alzando comunque di molto la media di sopravvivenza della famiglia Rasputin.
In particolare nel 1892, alla morte del primogenito per scarlattina -una di quelle malattie che gli antivaccinisti dovrebbero provare almeno una volta- qualcosa in lui si spezza. Abbandona di punto in bianco villaggio, moglie, figli e parte a piedi per un pellegrinaggio verso il monastero di Verchotur’e, dove viene accolto sotto l’ala dello ‘starec’ (mistico) Makarij e trascorre diversi mesi ad alfabetizzarsi apprendendo i dettami e i sofismi della religione ortodossa.
Dopo il soggiorno al monastero comincia a sostenere di aver ricevuto una visione della ‘Madonna di Kazan’ (una versione di Maria più santa e più russa) che gli ordina un pellegrinaggio al monte Athos.
Inizia per lui un periodo in cui vaga da un luogo sacro all’altro interrompendo i suoi viaggi solo per tornare ad aiutare la famiglia per il raccolto.
-Non ci fosse la religione di mezzo direi che stava attraversando una fase hippie ma molto più probabilmente aveva capito che una vita da ‘Yurodivy’ (santo folle) era comunque più leggera e piena di prospettive rispetto allo spaccarsi la schiena nella campagna siberiana.-
A furia di girovagare inizia a crearsi una nomea fra la plebaglia delle campagne, i vescovi e la classe dirigente.
Nel 1903 parte per San Pietroburgo con l’intenzione di chiedere al religioso Giovanni di Kronstadt (in seguito divenuto un santo ortodosso) i fondi per la costruzione di una chiesa nel suo villaggio.
Durante questo soggiorno fa la conoscenza di vari esponenti del misticismo russo e di alcuni dei loro clienti più affezionati: i nobili creduloni.
Due tra le più abbienti diventano in pochissimo tempo attratte dai suoi discorsi sullo spiritismo -oltre che dal suo cazzo-, sono la principessa Milica del Montenegro e sua sorella Anastasia.
Nel 1905 lo introducono a palazzo presentandolo direttamente allo Zar Nicola II ed alla moglie Alexandra.
Il tutto in un contesto storico difficile per la dinastia a capo dell’impero, in cui Nicola aveva appena dovuto firmare, a causa della pesantissima sconfitta nella guerra russo-giapponese, il ‘Manifesto d’ottobre’ con il quale rinunciava de facto ad una parte consistente dei propri poteri.
Grigorij a palazzo si trova bene come un topo in una piscina di formaggio. Nei due anni successivi entra via via sempre più a fondo nel circolo ristretto che attornia i regnanti guadagnandosi una certa fama come guaritore.
Nel 1907 lo ‘Zarevič’ (‘principe’) Aleksej ha la sfortuna di mischiare un emofilia di tipo B (una malattia che causa un deficit nella coagulazione del sangue) con una brutta caduta da cavallo, i medici lo danno per spacciato mentre sviluppa una grave emorragia interna da cui pare non avere scampo.
La zarina non si da per vinta e da buona madre moderna decide di ricorrere ai poteri della fede di Rasputin.
Qui il nostro eroe ha una delle sue botte di culo più clamorose: giunto al capezzale dello Zarevič caccia i medici sospendendo tutte le loro cure e iniziando una lunga veglia di preghiera.
Caso vuole che le cure prescritte erano a base di aspirina, nota OGGI anche per i suoi effetti anticoagulanti (non esattamente la cosa migliore da dare ad un emofiliaco).
Aleksej migliora, i Romanov sono convinti sia tutto merito del potere della fede e si legano a Rasputin indissolubilmente.
Efimovič dal canto suo tira un lungo sospiro di sollievo -non era affatto sicuro di riuscire a guarire il principe-, iniziando ad approfittare della situazione e rincara la dose quando un altro incidente mette nuovamente in pericolo la vita dello Zarevič’:
dimostrandosi abbastanza inabile alla vita stavolta l’erede della casata rischia di morire per I SOBBALZI DI UN VIAGGIO IN CARROZZA. Il nostro santone è stato però appena allontanato da palazzo dai suoi oppositori ed ha riparato Pokrovskoe, distante parecchi giorni di viaggio.
Impossibilitato a tornare fisicamente al capezzale per tempo, la zarina lo implora via telegrafo di usare i suoi poteri per salvare la vita al figlio e lui in un mezzo delirio di onnipotenza risponde con un laconico telegramma:
“Ti assicuro che il bambino non morirà STOP
dì ai medici di non preoccuparsi STOP
pregate molto e bevete molta acqua STOP
uno vale uno STOP”.
Per sua fortuna il piccolo migliora veramente e per molti è la prova definitiva che i poteri di Rasputin sono talmente grandi da funzionare anche a distanza.
Più realisticamente ha avuto di nuovo un sacco di fortuna.
La zarina gli si lega ancor di più.
Pure troppo secondo alcuni.
Non era un mistero quanto poche simpatie il nostro eroe suscitasse all’interno della nobiltà:
Botkin, il medico di corte, lo odiava profondamente, ritenendo che fosse un ciarlatano e che le sue ‘cure mistiche’ fossero attribuibili all’ipnosi.
Il principe Felix Yusupuv, suo acerrimo detrattore, era convinto che lo zarevič venisse drogato con le proibite ‘erbe tibetane’ per arrivare a controllarne a poco a poco la volontà.
La gerarchia ecclesiastica muoveva continue critiche per la sua vicinanza alla setta siberiana dei Chlysty, rea di compiere rituali orgiastici per ‘avvicinarsi a Dio’.
In generale tutta la corte o è attratta da lui o lo invidia e ne sparla mentre la stampa lo tiene permanentemente sotto controllo alla ricerca di una qualche prova di uno scandalo sessuale.
Ad un certo punto vengono trafugate alcune lettere private della zarina e portate a Nicola come prova della tresca con il monaco pazzo.
Lo zar non cede tuttavia a pressioni esterne (in parte per orgoglio e in parte perché temeva realmente un aggravarsi del figlio) e si rifiuta fermamente di esiliarlo.
Il primo ministro per levarselo dalle balle arriva a offrirgli duecentomila rubli (pari a 2,4 milioni di dollari di oggi) a patto che se ne vada dalla capitale, Rasputin che è un ‘monaco pazzo’ ma non un ‘monaco pirla’ accetta di tornarsene a Pokrovskoe, tra gli insulti dell’opinione pubblica, ma poi avviene l’incidente della carrozza e torna di nuovo ad essere il grande ‘mistico curatore’ nel giro di una notte.
Va detto per correttezza che gran parte delle accuse sulla sua dissolutezza riguardano cose come la sua abilità nel ballo o l’aver fatto bagni insieme ad alcune donne (una pratica comune tra i contadini siberiani).
Questo basta comunque alla gerarchia ecclesiastica ortodossa per rifiutare con fermezza il suo ordinamento a prete e per criticarlo costantemente nel Santo Sinodo.
Nel marzo del 1913 gli ‘Ottobristi’ (monarchici convinti) istutuiscono una commissione d’indagine per portare prove inoppugnabili delle sue pratiche eretiche ma sia lo zar che la zarina si oppongono (anche nel timore di scandali) e fanno arenare il tutto nel dimenticatoio.
Nel 1914 Rasputin è ormai un ricco ed influente personaggio politico e che se ne parli bene o male è comunque famoso in tutta la Russia.
Non ha comunque perso la sua abitudine di tornare a Pokrovskoe per aiutare col raccolto ed è qui, il 29 giugno, che viene avvicinato da una donna col volto celato, Khiona Giuseva, che lo pugnala al ventre.
Grigorij seppur ferito, tiene fede alla sua fama di bastardo duro a morire e tramortisce l’assalitrice con un bastone, prima di venire soccorso e portato in ospedale.
Khiona viene rinchiusa in un manicomio e il suo mandante, un nobile, espatria evitando l’arresto.
L’attentato ha il doppio effetto di fare attaccare Rasputin alla bottiglia e fargli evitare i luoghi affollati, in un periodo in cui i suoi nemici a palazzo per un motivo o per l’altro (malattia, vecchiaia, espatri) scompaiono come rugiada nel deserto.
Durante una cena tra rappresentanti politici avviene uno dei suoi più grandi show:
Un rappresentante della ‘Duma’ (il consiglio cittadino) si alza dalla tavolata e gli punta in faccia una pistola accusandolo di essere “la causa dello stato di degrado in cui versa la capitale”.
Rasputin lo guarda dritto negli occhi e dice solamente: “Spara, dunque!”
La pistola fa cilecca.
Il monaco prende la pistola per la canna, se la appoggia alla tempia e ripete: “TI HO DETTO DI SPARARE!”
La pistola, di nuovo, non sparò.
Grigorij stende l’assalitore con un pugno, lo disarma, punta la pistola verso il soffitto e preme il grilletto dell’arma da cui stavolta partì il colpo.
Si era guadagnato la fama di ‘immortale’.
Ma più realisticamente si era messo d’accordo con l’assalitore e gli era andata anche bene, considerando cos’è successo a Brendon Lee sul set de Il Corvo.
Falliti due attentati -anche se uno probabilmente farlocco- nel 1915 si ritenta di screditarlo.
Viene aperto un esposto il 26 marzo in cui si racconta che di ritorno da San Pietroburgo Rasputin avesse cenato presso il ristorante Yar.
Al termine del pasto, decisamente ubriaco, TIRA FUORI IL CAZZO APPOGGIANDOLO SUL TAVOLO CON NONCHALANCE MOSTRANDOLO A UN GRUPPO DI RAGAZZE GITANE!
Con tutta la tristezza del mondo non era un tentativo di spenecchiare la tavola, ma solo una denuncia inventata dai suoi detrattori.
Difatti con poche indagini si risale al fatto che Rasputin allo Yar quella sera non ci aveva neanche mai messo piede.
Al popolo del tempo (come al popolo di oggi) la verità interessa poco, lo scandalo di più, quindi vero o no è successo.
Nel frattempo il mondo sta attraversando la prima guerra mondiale e nonostante Rasputin avesse sostenuto che “Se la Russia va in guerra, sarà la fine della monarchia, dei Romanov e delle istituzioni russe” lo zar è sceso in campo guidato da pressioni interne ed esterne.
Che la teoria della corte secondo cui “sarà un conflitto breve” sia stata un filino disattesa spero non ci sia bisogno di spiegarlo a nessuno, con quello che l’altissimo costo in vite umane provocò ad un paese già dissestato di per sè stesso che si ritrovò preda dell’inflazione e delle rivolte popolari.
Il comando centrale, non avendo alle spalle nè un’industria nè le infrastrutture logistiche adeguate, decide di abbandonare nel 1915 le trincee in Polonia ed arretrare, inviando Nicola al fronte per prendere il comando dell’esercito di persona per risollevare almeno il morale.
Un buon modo per descrivere la situazione politica del tempo, con il valzer delle cariche sgradite allo zar esautorate dai loro poteri mentre lui partiva tronfio per una guerra che non vedrà mai è la metafora usata dal giornalista Vasily Maklakov in un suo articolo
“La Russia è diventata come un veicolo senza freni lanciato a folle velocità e guidato da un pazzo lungo uno stretto sentiero di montagna”.
Il disastro sembra inevitabile.
Con la partenza dello zar e il potere di governo in mano ad Alexandra, Rasputin si fa subdolamente avanti divenendo il suo consigliere personale in QUALSIASI decisione, dal soffocamento dei primi moti di monarchia parlamentare (Grigorij per ovvi motivi preferiva un autarchia) alla difesa della piazzaforte di Riga.
Ovviamente questo gli porta nuovamente l’inimicizia di un sacco di persone ma il monaco si è ormai abituato ai complotti e ne blocca un altro ordito dal ministro degli interni e dal capo della polizia, facendoli rimuovere dalle loro rispettive poltrone.
Il primo novembre 1916 i vari tentativi di raggiungere a trattative diplomatiche con la Germania, la presenza di un contadino analfabeta con il pieno controllo sulla zarina (di origine tedesca) e con poteri per rimuovere ed eleggere funzionari, fanno precipitare il governo nel caos.
Escono dall’ombra personaggi via via più influenti che decidono di incontrarsi per ordire un piano che nelle loro idee doveva permettergli di “salvare la dinastia dei Romanov dalla nefasta influenza di un monaco pazzo”.
Yusupov nei mesi successivi fa in modo di acquistare la fiducia di Rasputin, arrivando a promettere la propria assistenza nelle questioni di palazzo a patto che, tramite il suo santo aiuto, si riuscissero a placare i suoi desideri omosessuali -non chiedetemi come-.
Il monaco viene mano a mano convinto della buona fede del questuante, tanto da accettare infine un invito al palazzo privato di Yusupov a San Pietroburgo, dove viene attirato dalla promessa di ‘incontrare’ la moglie del nobile per prepararla alle arti amatorie -non chiedetemi con che cosa–.
Grigorij viene condotto a palazzo il 17 dicembre e guidato in una stanza insonorizzata nel seminterrato, è già morto, ma lui non lo sa.
Nelle memorie scritte successivamente dai cospiratori gli viene offerta una gran quantità di tè, vino e dolci avvelenati al cianuro ottenendo come unico risultato quello di rendere Rasputin un po’ allegrotto.
Yusupov si consulta quindi con gli altri congiurati al piano superiore e si decide per le più dirette pallottole.
Tornato di sotto, gli spara un colpo allo stomaco.
Essendo pavidi nobili e non assassini scafati, lasciano il monaco da solo nella stanza, nel frattempo lui rinviene -l’ho già detto che era duro a morire- e si avventa sul padrone di casa tentando di guadagnare l’uscita. A questo punto un altro dei congiurati, Purishkevich, gli spara un altro colpo alla schiena, facendolo cadere vicino all’ingresso.
Yusupov, timoroso che potesse rinvenire ancora, gli distrugge un occhio con il tacco di uno stivale -coraggiosamente- e dato che ANCORA SI MUOVEVA, il corpo del santone viene colpito anche da un altro paio di pallottole sparate da uno dei ‘congiurati senza nome’ appartenenti molto probabilmente all’MI6, i servizi segreti britannici, che vedevano non molto in simpatia il fatto che Rasputin avesse il controllo occulto del governo e che si muovesse per trovare accordi di pace tra Russia e la Germania.
Dato che i congiurati erano stati silenziosi come dei pachidermi ubriachi, sul posto accorrono subito due poliziotti in servizio che si trovarono di fronte un Purishkevich raggiante che urla: “HO POSTO FINE AL REGNO DI TERRORE DEL MONACO OSCURO!” ma si affretta ad aggiungere “non ditelo a nessuno eh!”.
Ovviamente gli agenti fanno rapporto.
Frattanto i geni del male hanno portato il cadavere di Rasputin in macchina sull’isola Krestovskij, da dove lo gettano nelle acque ghiacciate, facendolo ritrovare, in ottimo stato di conservazione, due giorni dopo.
La testimonianza del poliziotto, l’imbecillità di Purishkevich, la furia della zarina e le evidenti prove ritrovate nella tenuta di Yusupov e sul corpo di Rasputin fanno scoprire in pochissimo tempo l’identità di gran parte dei consociati che finiscono agli arresti.
Magra consolazione per Rasputin e magra consolazione anche per la Russia e i Romanov che subiscono in breve tempo la sorte da lui predetta a inizio della guerra.
Soprattutto magra consolazione per il suo enorme pene, di 33 cm, conservato al museo erotico di San Pietroburgo, che tanta felicità aveva portato durante la sua vita ad un sacco di persone.